Forno Elettrico Ad Arco Come Funziona?

Forno Elettrico Ad Arco Come Funziona
Il forno elettrico ad arco serve per la fusione di rottami d’acciaio nella produzione dell’acciaio. Per la fusione dei rottami d’acciaio si utilizza energia elettrica. Tra il prodotto intermedio e gli elettrodi si forma un arco voltaico il cui calore causa la fusione dei rottami d’acciaio.

Come funziona un forno ad arco elettrico?

Forno Elettrico Ad Arco Come Funziona? Un tipico forno ad arco fonde il materiale, o “carica” ​​come è noto, facendo passare una corrente elettrica attraverso la carica tramite una serie di elettrodi. Una combinazione del calore generato dal passaggio di corrente e l’arco sulla superficie di carica fonde il materiale.Il forno elettrico ad arco serve per la fusione di rottami d’acciaio nella produzione dell’acciaio.

Come si crea un arco elettrico?

ARCO ELETTRICO in “Enciclopedia Italiana” ARCO ELETTRICO Augusto Occhialini, L’arco elettrico è una scarica a forma di fiamma che si stabilisce tra due carboni collegati ai poli di una batteria di pile, quando sono portati a contatto e poi allontanati alquanto.

Esso fu fatto conoscere per la prima volta da Davy alla Società reale di Londra nel 1808; e siccome allora i carboni erano tenuti orizzontalmente, e per la corrente di aria calda la fiamma era piegata in alto, la scarica venne designata col nome di arco, che conserva tuttora (fig.1). Con i carboni vegetali usati dal Davy il consumo degli elettrodi era rapidissimo; ma col tempo furono trovati materiali molto più resistenti nella grafite e nel carbone di storta, finché si giunse agli attuali elettrodi di polvere di carbone impastata con agglutinanti e fortemente compressa.

Questi carboni si fanno di diversi diametri per proporzionarli alla corrente che devono portare, e possono essere omogenei oppure a miccia, vale a dire muniti di un foro assiale contenente sostanze diverse. L’aspetto di un arco si osserva facilmente in una proiezione ingrandita fatta sopra uno schermo mediante un obiettivo fotografico.

  1. Tra carboni omogenei tenuti verticalmente si nota una fiamma costituita da un nucleo violaceo circondato da un’aureola verdastra, distesa tra due punti degli elettrodi portati ad altissima incandescenza.
  2. La base positiva si foggia durante il funzionamento a coppa, e per questo prende il nome di cratere ; la negativa assume una forma appuntita.

La luce emessa dal cratere è molto superiore a quella della base negativa. La fiamma dell’arco si comporta come una corrente flessibile ed è deviata dal campo magnetico secondo la cosiddetta regola della mano sinistra (fig.2). La tensione, o caduta di potenziale, ai poli dell’arco può essere divisa in tre parti: un grande salto all’anodo, un debole gradiente lungo l’arco, e un altro salto al catodo, minore del primo.

Col crescere della corrente cresce anche la sezione dell’arco, e ciò porta una diminuzione della tensione ai poli, al contrario di quanto accade coi conduttori metallici, nei quali la tensione cresce con la corrente. In altre parole, la curva della tensione in funzione della corrente, che si designa col nome di curva caratteristica, e che per un metallo è una retta ascendente (legge di Ohm), è per l’arco una curva discendente.

A questo fatto si allude quando si dice che l’arco presenta una resistenza negativa, Tale circostanza determina un’instabilità dell’arco che non ha riscontro nel comportamento dei conduttori metallici. Perché, se per una perturbazione qualunque la corrente è accresciuta oltre il valore normale, la tensione della rete diventa esuberante e dà luogo a un aumento di corrente, che, peggiorando le condizioni, non si arresta più, ed equivale a un corto circuito; mentre, se la corrente va al disotto del normale, la tensione della rete non è più sufficiente a mantenerla, e l’arco si spegne.

Per ottenere la stabilità dell’arco occorre che la tensione tra gli elettrodi diminuisca col crescere della corrente. E questo si ottiene nel modo più semplice con l’intercalare nel circuito una resistenza R che, assorbendo una tensione R I proporzionale alla corrente, lascia nell’arco un residuo V – R I della tensione V della rete, tanto minore quanto più la corrente è grande.

Questa resistenza stabilizza l’arco come la zavorra stabilizza la nave, e però si usa chiamarla resistenza zavorra, Col crescere della corrente cresce il cratere, finché raggiunge la superficie esterna del carbone. Quando questo succede, il cratere non è più difeso dal vapore della fiamma contro l’ossidazione, né contro il raffreddamento dell’aria, e subisce delle fluttuazioni che si ripercuotono nella sezione dell’arco e si rivelano con un fischio.

Un arco fischiante è indizio di eccesso di corrente, e richiede l’allontanamento dei carboni o l’aumento della resistenza. Una densità di corrente più alta del normale si può far passare nell’arco senza che questo fischi, quando si adoperino carboni a miccia, e quando si pongano davanti ad un unico elettrodo positivo parecchi elettrodi negativi (Pierucci).

Questi archi si dicono forzati, ed emettono dal cratere una luce eccezionalmente intensa. Nell’aria libera i carboni si consumano in ragione di 1-2 cm. all’ora; ma quando si rinchiuda l’arco in un globo, che lo difenda dall’azione dell’ossigeno dell’aria, il consumo orario si abbassa fino a 1-2 mm.

Con ciò si realizza un risparmio di materiale, e si riduce il costo della mano d’opera necessaria per il cambiamento dei carboni. Un altro vantaggio degli archi chiusi è una maggiore regolarità di funzionamento, dovuta all’assenza delle correnti di aria; e una migliore utilizzazione della luce emessa dal cratere, dovuta alla possibilità di tenere più lontani i carboni.

Tra carboni omogenei la luce emana principalmente dall’elettrodo positivo, perché quello negativo è incandescente sopra una piccola area e la fiamma è relativamente poco luminosa. Si calcola che, di tutta la luce emessa dall’arco, l’85% venga dal cratere, il 10% dall’elettrodo negativo e il 5% dalla fiamma.

  • L’intensità della luce emessa va da 200 a 70000 candele, con una spesa di circa mezzo watt per candela.
  • Facendo pervenire nell’arco dei sali metallici, la fiamma diventa luminosa ed emette la parte più importante della luce.
  • Un arco così fatto si dice a fiamma, e si ottiene, sia con carboni a miccia, sia con carboni metallizzati, vale a dire impregnati di sali.

Tali carboni si dicono genericamente ad effetto, e in particolare ad effetto giallo, quando contengono sali di calcio, che dànno una fiamma gialla; ad effetto rosso quando, mediante sali di stronzio, dànno una fiamma rossa; ad effetto bianco quando, mediante sali di bario, dànno una fiamma bianca.

Gli archi a fiamma dànno luce in ragione di 4 candele per watt. Un arco, che, pur bruciando nell’aria, non funziona tra carboni, è quello a magnetite; così detto perché ha come elettrodo negativo un impasto di ossidi, tra i quali prevale la magnetite, mentre l’anodo è di rame. Funziona su reti a 100-120 volt, si accende mediante contatto, come l’arco ordinario, e dà una fiamma luminosissima, con una luce di 4 candele per watt.

Gli elettrodi durano circa 5000 ore per il rame e circa 200 ore per la magnetite. Quest’arco è diffuso negli Stati Uniti e nel Canadà, ma nell’Europa è limitatissimo. Un arco che ha luogo fuori del contatto dell’aria è quello tra elettrodi di mercurio.

  • Esso è molto più lungo dell’arco ordinario potendo raggiungere alcuni decimetri; si accende stabilendo momentaneamente, mediante inclinazione del tubo, una comunicazione ininterrotta di mercurio tra i due elettrodi.
  • La luce di questo arco emana tutta dal vapore di mercurio ed è composta delle radiazioni gialla, verde e azzurra, proprie di questo metallo.

Essa è vantata dai suoi sostenitori per la mancanza del calore che accompagna le radiazioni rosse e che affatica la retina; per la sua monocromaticità che si traduce in una maggiore acuità da parte dell’occhio; per la sua economia, permettendo essa di avere la candela al prezzo di 0,17 watt.

Ma più che altro il valore della lampada a vapori di mercurio sta nella grande copia di raggi ultravioletti che essa emette, e che possono essere utilizzati nelle riproduzioni fotografiche e nella cura di certe malattie. In tal caso le lampade sono chiuse in recipienti di quarzo Finora non abbiamo parlato che dell’arco a corrente continua, ma l’arco tra carboni può essere mantenuto anche con la corrente ma una resistenza induttiva, sia perché non dissipa energia, sia perché, interponendo un ritardo tra la corrente e la tensione, fa sì che questa sia già invertita quando la corrente si annulla, e con ciò rende la riaccensione dell’arco più pronta.

Tuttavia il funzionamento dell’arco con corrente alternata non è mai così regolare come quello dell’arco a corrente continua. S’intende che con la corrente alternata la forma dei carboni non presenta dissimmetrie, e così pure la luce emessa dagli elettrodi.

  • La temperatura del cratere dell’arco a carboni è costante finché la pressione è costante, e a pressione ordinaria, secondo le più recenti determinazioni, raggiunge i 3900 gradi assoluti (Amerio).
  • Negli archi forzati essa cresce rapidamente con la corrente, e dà luogo a quello splendore eccezionale che già abbiamo rilevato.
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Una temperatura eccezionalmente elevata si osserva quando nell’arco si fa scaricare un condensatore di grande capacità, nel qual caso si produce la fusione del carbone e la produzione di grafite (La Rosa). Lo stesso effetto si raggiunge mediante un arco sotto pressione, che permette di ottenere una temperatura nel cratere uguale a quella del Sole (Lummer).

Notevolmente più bassa della temperatura del cratere è quella dell’elettrodo negativo, che nell’arco ordinario non pare superi i 3100 gradi assoluti. Quanto alla temperatura della fiamma, essa non si potrebbe dedurre, a tutto rigore, dall’emissione luminosa, perché è da ritenersi che tale emissione non sia tutta di origine termica.

Per altro le esperienze eseguite sull’arco alternato a grande frequenza, dimostrando che tale emissione non subisce variazioni di sorta nelle varie fasi della corrente, portano a identificare, o quasi, la temperatura col grado di eccitazione dentro l’arco (Polvani).

Le condizioni di esistenza di un arco sono l’incandescenza dell’elettrodo negativo e la caduta di potenziale di fronte a questo stesso elettrodo. È possibile produrre archi nei quali la caduta anodica sia quasi eliminata, il gradiente del potenziale lungo il gas sia quasi nullo, e la temperatura dell’anodo e del gas siano relativamente basse, ma la caduta catodica e l’alta temperatura del catodo sono indispensabili.

Ogni volta che uno degli elettrodi non può diventar rovente, l’arco si può stabilire e mantenere con quell’elettrodo funzionante da anodo, ma non da catodo. L’arco non si mantiene con un catodo costituito da una soluzione elettrolitica (Stark e Cassuto).

  1. È possibile adescare un arco tra un catodo rovente, come può essere l’elettrodo di un arco ausiliario, e un anodo freddo, ma non tra un anodo rovente e un catodo freddo (Occhialini).
  2. Con un catodo che conduca bene il calore, come il rame, non è facile stabilire l’arco; e un arco con un elettrodo di rame alimentato da corrente alternata lascia passare la corrente nel senso in cui il rame è anodo e non nel senso inverso, e quindi funziona da raddrizzatore.

Anche un’atmosfera buona conduttrice del calore, come è quella di idrogeno, rende difficile il mantenimento dell’arco. Ora, siccome i corpi incandescenti emettono una copiosa corrente di elettroni, sorge naturale l’ipotesi che l’arco sia principalmente dovuto a questa emissione termoionica, e che le condizioni in cui questa si mantiene siano quelle di esistenza dell’arco (J.J.

  1. Thomson). Ma la causa dell’incandescenza del catodo non può essere ricercata se non nell’urto degli ioni positivi, che si precipitano sull’elettrodo negativo, e così siamo condotti ad ammettere che nell’arco abbia luogo una ionizzazione del gas e una produzione di ioni positivi.
  2. Per l’appunto, come si è notato, davanti all’elettrodo negativo si osserva un brusco salto di potenziale, il cui effetto è di scagliare con forza gli ioni positivi contro il catodo; mentre gli elettroni emessi dal catodo attraverso allo stesso salto devono trovare sufficiente energia da ionizzare le molecole che incontrano.

In altre parole, la condizione di esistenza di un arco è l’esistenza di un salto di potenziale, davanti all’elettrodo negativo, capace di determinare la ionizzazione del gas. Nel fatto, il potenziale minimo di un arco tra un filo incandescente e una lastra in atmosfera di idrogeno è stato trovato di 16,35 volt, mentre il potenziale di ionizzazione dell’idrogeno è di 13,5 volt; ma di questa differenza ci si rende conto pensando che nell’arco così ottenuto solo una piccola parte delle molecole biatomiche del gas sono dissociate.

Tanto è vero che in un forno a 2500°, dove la dissociazione raggiunge il 90%, l’arco si può mantenere con un potenziale minimo di 14 volt (Duffendack). Una concordanza maggiore si ha con l’arco a mercurio, nel quale il vapore è sempre monoatomico e non è inquinato da quello emesso dagli elettrodi. In tal caso la caduta catodica è stata trovata di 4,9 volt, esattamente uguale al potenziale di ionizzazione dell’atomo di mercurio.

Resta ora da vedere quale parte della corrente che si realizza nell’arco è da attribuire all’emissione termoionica, e se la temperatura osservata basta per rendere conto di questa emissione. Da studî recenti pare dimostrato che della corrente totale solo il 30% sia da attribuire agli ioni positivi, e che il resto si debba ascrivere all’emissione termoionica, e che la temperatura osservata sia perfettamente compatibile con questa emissione (Langmuir).

  • Gli elettroni si dirigono verso l’anodo e vi si addensano, generandovi il brusco e grande salto di potenziale che si osserva negli archi ordinarî.
  • Attraverso a questo salto gli elettroni stessi sono scagliati con forza sull’anodo e lo riscaldano enormemente, di solito molto più del catodo.
  • È vero che questa alta temperatura non sembra necessaria per il mantenimento della scarica, perché, come abbiamo detto, l’anodo può essere raffreddato senza che l’arco si spenga; ma ciò non vuol dire che questo fattore, quando sussiste, sia senza influenza sulla scarica.

Nel fatto, la scarica che si stabilisce tra un catodo rovente e un anodo freddo ha un carattere diverso da quello dell’arco, e ricorda piuttosto quello della scintilla. Tale carattere dura finche l’anodo non si è riscaldato, e manca quando l’anodo è già caldo (Occhialini); inoltre i fenomeni luminosi della seconda fase, e cioè dell’arco vero e proprio, hanno origine dall’anodo caldo e si propagano verso il catodo (Occhialini, Pollock e Ranclaud).

Una scarica che si riattacca all’arco è quella detta “a bagliore”, la quale presenta le sue più brillanti manifestazioni nei gas rarefatti, ma che si produce anche alla pressione ordinaria. Essa ha in comune con l’arco la caduta catodica, che però si eleva fino a 300 volt, e ne differisce per l’assenza dell’alta temperatura al catodo.

Ma è da ritenersi che anche qui la conduzione sia alimentata dagli elettroni uscenti dal catodo sotto gli urti delle particelle positive fortemente accelerate attraverso al salto catodico, perchè, non esistendo molecola che richieda 300 volt per ionizzarsi, resta escluso che questo salto sia utilizzato nella produzione dei centri per la ionizzazione del gas.

  1. E in realtà è stato provato che un metallo freddo sotto l’urto di ioni positivi può emettere elettroni.
  2. La scarica a bagliore si sostiene con una densità di corrente al catodo 100 e più volte inferiore a quella dell’arco; se si fa crescere la corrente sopra questo limite, il catodo si arroventa, la caduta catodica si riduce a pochi volt, e la scarica assume la forma dell’arco.
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L’arco, infine, si presenta anche nell’ordinaria scintilla oscillatoria, quando, in seguito al primo fenomeno esplosivo della scarica, gli elettrodi si arroventano e dànno luogo a un’emissione termoionica (Occhialini). Se in derivazione sui poli di un arco alimentato da una dinamo, o comunque attraverso a una forte induttanza, si pone un condensatore di grande capacità, si stabiliscono in esso e attraverso all’arco delle oscillazioni elettriche permanenti che si rivelano con un suono e che costituiscono il fenomeno dell’ arco cantante (Duddell, fig.3).

La sua spiegazione appare chiara quando si pensa che la carica del condensatore è fatta a spese della corrente dell’arco, perché l’induttanza del circuito di alimentazione impedisce le rapide variazioni della corrente totale; ora la diminuzione della corrente dell’arco determina un aumento della tensione e quindi la carica del condensatore con una tensione superiore a quella normale dell’arco.

Ne segue che, terminata la scarica, quando l’arco riprende tutta la corrente e riassume la sua tensione normale, il condensatore si scarica nell’arco e determina in esso un aumento della corrente e quindi un abbassamento della tensione; e quando, finita la scarica, si ripristina la tensione normale dell’arco, questo è in grado di riprendere la carica del condensatore, e in tal modo la vicenda delle cariche e delle scariche continua indefinitamente.

  1. Le oscillazioni devono adattarsi al circuito in cui hanno sede, ma la loro produzione è indipendente dalla facoltà di oscillare del circuito stesso e può aver luogo anche in circuiti privi di un periodo proprio (La Rosa).
  2. L’arco cantante può diventare un generatore di onde persistenti ad alta frequenza, sostituendo al carbone positivo un elettrodo di rame raffreddato da una corrente d’acqua, e immergendo l’arco in un’atmosfera d’idrogeno (Poulsen).

In tal modo le oscillazioni possono raggiungere il numero di 200.000 per secondo ed essere impiegate nelle radiotrasmissioni (fig.4). Per impiegare forti potenze è stato trovato utile soffiare l’arco con un flusso magnetico e mantenere il carbone in lenta rotazione Con l’arco si possono riprodurre le modulazioni della voce e ottenere il cosiddetto arco parlante (fig.5).

  • Basta per questo inserire nel circuito di un arco, alimentato da accumulatori, il secondario di un rocchetto di induzione, e inserire nel primario un microfono con pila.
  • Allora, parlando nel microfono tenuto lontano dall’arco, le correnti indotte si sovrappongono a quella dell’arco, e dànno luogo a un suono che segue più o meno le modulazioni della voce generatrice.

Per la riuscita di quest’esperienza occorre un arco molto lungo tra carboni metallizzati. Una dinamo non potrebbe essere impiegata al posto degli accumulatori nell’alimentazione dell’arco perché con la sua grande induttanza smorzerebbe le rapide oscillazioni che dovrebbero percorrerla; a meno che non si ponesse in derivazione sulla macchina un condensatore di qualche microfarad, che offrisse facile via alle oscillazioni.

Quale forno è più adatto alla fabbricazione di acciai speciali?

Il forno ad arco è il più largamente utilizzato per la produzione di getti e di fucinati; viene impiegato per lingotti in acciaio di qualità, speciali e legati, ed anche per produzioni di massa di acciai al carbonio.

Cosa provoca un arco elettrico?

Che cosa è l’arco voltaico? L’arco voltaico è uno dei pericoli elettrici più gravi e meno conosciuti. Un arco voltaico (talvolta denominato “scarica elettrica”) è una scarica elettrica continua di il risultato di una scarica elettrica ad alta tensione che fluisce attraverso un intervallo d’aria tra conduttori.

Questo fenomeno genera una luce ultravioletta estremamente forte e un intenso calore. Un arco voltaico tipicamente è provocato da un corto circuito. Talvolta ciò si deve a un guasto tecnico delle apparecchiature elettriche (ad es., errata installazione, polvere, corrosione, impurità sulla superficie e talvolta semplicemente normale usura).

Tuttavia, nella maggior parte dei casi, i corti circuiti sono il risultato di un errore umano (ad es., possono essere provocati da un lavoratore che appoggia una sonda da test sulla superficie sbagliata o dallo scivolamento di uno strumento). QUALI SONO LE CONSEGUENZE DI UN ARCO VOLTAICO? A seconda della gravità dell’arco voltaico, che è una funzione della corrente e della durata dell’arco, e in base alla distanza dall’arco, può portare a:

Intenso calore dell’arco voltaico fino a 20.000 °C, che può provocare ustioni cutanee e danni al corpo del lavoratore Fuoco, che può provocare potenziali lesioni al lavoratore e danni all’ambiente di lavoro circostante Un’esplosione dell’arco voltaico con una pressione di esplosione di fino a 1.000 Kg/m² che provoca l’espulsione di particelle di metallo fuse, residui di apparecchiature demolite e relativi componenti ad alta velocità, causando lesioni ai lavoratori Esplosione sonora (fino a 140 dB, forte come uno sparo), che causa danni all’udito del lavoratore Luce ultravioletta prodotta dall’esplosione, che causa danni alla vista del lavoratore

Le conseguenze per le persone colpite, che lavorano in prossimità o sulle apparecchiature elettriche energizzate, dipendono principalmente dalla quantità di energia incidente ricevuta sulla superficie corporea, che dipende dalla rispettiva distanza dall’arco.

La preoccupazione principale per la persona esposta sono le ustioni cutanee. QUANDO SI VERIFICA UN ARCO VOLTAICO? Un arco voltaico può verificarsi ogniqualvolta l’apparecchiatura elettrica è sotto tensione. In fase di manutenzione o riparazione, se per qualsiasi ragione l’apparecchiatura non può essere de-energizzata, può verificarsi un arco voltaico.

: Che cosa è l’arco voltaico?

Quale temperatura si raggiunge con l’arco elettrico?

Che cos’è l’arco elettrico – L’ arco elettrico è una scarica elettrica in aria che mette in gioco una potenza elevatissima in tempi molto brevi, con temperature d’arco che possono superare i 10 000 °C. Un arco elettrico può manifestarsi fondamentalmente:

per sovratensioni, di origine interna o esterna all’impianto per fusione di conduttori sovraccaricati per il venir meno dell’isolamento superficiale di un isolante a causa di umidità e del depositarsi nel tempo di polveri conduttive.

Quanto costa fare un arco in casa?

Il costo di un arco divisorio in cartongesso di medie dimensioni va da 400 a 500 euro, anche a seconda del tipo di lastre utilizzate. Il prezzo può salire di circa 50 euro se si utilizzano lastre antiumidità, ideali per tutti gli ambienti soggetti a problemi di condensa eccessiva o muffa (cucina, bagno, cantina).

Come funziona l’arco?

Come funziona un Arco

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COME FUNZIONA UN ARCO Un arco è a tutti gli effetti una molla a due bracci, la corda che unisce le estremità mantiene la molla in tensione. Tendendo la corda, si aumenta la tensione ed il dorso dell’arco, cioè la parte esterna rivolta verso il bersaglio, subisce un flessione. Il ventre dell’arco invece, cioè la parte interna rivolta verso l’arciere, subisce una forza di compressione. Forno Elettrico Ad Arco Come Funziona L’arco potrà così trasferire sulla freccia l’energia accumulata con successo durante la tensione. Nella costruzione di un arco occorre pertanto usare un legno adatto, ma soprattutto utilizzare tecniche costruttive che distribuiscano il più uniformemente possibile le due opposte forze di trazione e compressione.

Per costruire archi si possono usare varie specie di legni, ognuna con caratteristiche proprie che verranno ereditate dall’arco e che quindi vanno conosciute e valutate fin dall’inizio della lavorazione. Ogni essenza ha caratteristiche peculiari, che dipendono in una certa misura dalle condizioni di crescita della pianta.

Se il clima si è mantenuto costante per tutta la vita dell’albero il suo legno sarà più omogeneo, mentre se ci sono state brusche variazioni nel clima o se la pianta è cresciuta inclinata (ad esempio su un pendio ripido o in lento movimento) gli anelli di crescita ne risentiranno e risponderanno in modo diversificato agli sforzi cui vengono sottoposti.

Il materiale ideale di partenza per la fabbricazione di un arco in legno è un fusto o pollone tra i 10 e 15 centimetri di diametro, di forma perfettamente cilindrica e privo di rami, nodi, traumi, ammaccatu-re, lesioni su tutta la superficie per una lunghezza uguale o superiore a quella dell’arco finito.

Questa situazione in realtà si presenta raramente e spesso il costruttore deve selezionare accuratamente una notevole quantità di materiale prima ancora dell’abbattimento. Questo investimento di tempo nella scelta del materiale si dimostra in genere ben impiegato. Le seguenti note sui legni adatti alla fabbricazione di archi si basano su personali esperienze relative ad alberi ed arbusti reperibili in Italia. Per una migliore comprensione, specifico il significato che attribuisco ad alcuni termini usati: DENSITA’: durezza e peso del legno FLESSIBILITA’: capacità del legno di piegarsi senza fratturarsi ELASTICITA’: capacità del legno curvato di tornare rapidamente alla posizione naturale REPERIBILITA’: quantità di materiale idoneo rintracciabile sul territorio STAGIONATURA: disidratazione naturale non traumatica del legno dopo il taglio Complessivamente il legno migliore per costruire archi semplici tra quelli reperibili nelle foreste europee era il Tasso, che riunisce tutte le qualità essenziali per il buon funzionamento dell’attrezzo. Altre essenze furono usate in alternativa a secondo delle disponibilità locali, delle tecniche costruttive e dalla funzione che l’arma doveva svolgere nelle mani dell’arciere. Bibliografia : disegni tratti da: L’arco di Baleison, Enrico Ascani L’arco e gli arcieri, A.Cenni / Archi in legno, R.Rillo / Archi e frecce, J. Hamm

Layout e Grafica ©Mimina di Sagitta Barbarica-Biturigi : Come funziona un Arco

Come si fa a capire se è acciaio inox?

Prove per riconoscere l’acciaio – Esistono una serie di prove, meccaniche e chimiche, per verificare se un prodotto sia o meno composto da acciaio inox. Le prove più semplici e veloci da condurre sono:

controllo con magnete : è la prova più semplice, basta una semplice calamita. L’acciaio inox è definito amagnetico quindi se le calamita attacca l’acciaio non è inox! Ma purtroppo non è così semplice evidenze pratiche e vari studi hanno dimostrato che l’acciaio inox può presentare fenomeni di magnetismo quindi questa prova non è sufficiente. Approfondisci questo tema qui controllo con reagente : utilizzando un rilevatore di molibdeno è possibile verificare in tempi estremamente rapidi la presenza o meno di Molibdeno in un determinato tipo di acciaio. La presenza di tale elemento serve generalmente per distinguere l’acciaio AISI 304 (molibdeno assente) dall’ AISI 316 (molibdeno 2-3%). È comunque una prova empirica che lascia ampi margini di incertezza.

Per ottenere risultati assolutamente certi è necessario utilizzare i seguenti strumenti:

Qual è la differenza tra acciai comuni e acciai speciali?

Gli Acciai Speciali sono acciai con caratteristiche particolari, derivate dai diversi elementi utilizzati per la loro composizione e il trattamento termico a cui sono stati sottoposti. Alcuni esempi di elementi che questi acciai possono contenere, in aggiunta al carbonio, sono: cromo, nichel, silicio, tungsteno, vanadio, cobalto, manganese, ecc.

La differenza fondamentale che contraddistingue un acciaio speciale da uno comunemente usato in commercio, è la volontaria aggiunta di questi elementi per andare ad alterare le caratteristiche di base del materiale, ricercando proprietà fisiche, tecnologiche e meccaniche superiori rispetto a quelle dell’acciaio comune.

Si possono distinguere 4 sottogruppi principali: Acciai non legati (con l’eccezione degli acciai per lavorazioni meccaniche ad alta velocità), con tenore medio di manganese inferiore all’1%; Acciai non legati con tenore medio di manganese maggiore all’1% sono acciai non legati per lavorazioni meccaniche ad alta velocità, debolmente legati con massa ponderale di ciascun elemento inferiore al 5%; Acciai fortemente legati (se hanno almeno un elemento di lega superiore al 5%); Acciai rapidi Gli Acciai Speciali sono acciai con caratteristiche particolari, derivate dai diversi elementi utilizzati per la loro composizione e il trattamento termico a cui sono stati sottoposti.

Come evitare arco elettrico?

Gli adesivi e gli incapsulanti per la protezione dell’elettronica possono essere la miglior soluzione per ridurre le probabilità di formazione di archi elettrici.

Quando una scossa elettrica è pericolosa?

Le lesioni elettriche – Le lesioni elettriche possono essere classificate in base alla tensione elettrica, la cui unità di misura è rappresentata dai Volt:

  • Ad Alta tensione : shock elettrico > 1000 volt (riguarda soprattutto i giovani adulti coinvolti in incidenti industriali)
  • A Bassa tensione : shock elettrico < 1000 volt (riguarda soprattutto bambini feriti da elettrodomestici, prese o cavi)
  • Ad arco voltaico : la corrente elettrica forma un arco attraverso l’aria alla ricerca di un percorso a bassa resistenza dalla fonte elettrica a un punto del paziente (è comune ma di solito non produce danni a organi interni poiché non attraversa i tessuti).

Inoltre l’entità della lesione può essere classificata in base all’amperaggio:

  • 1 milliampere : formicolio, appena percettibile
  • 16 milliampere : corrente massima che una persona può sopportare senza dare grossi problemi
  • 20 milliampere : tetanizzazione muscolare
  • 20-50 milliampere : paralisi dei muscoli respiratori con possibile conseguente arresto respiratorio
  • 50-100 milliampere : soglia di fibrillazione ventricolare
  • 2 ampere : arresto cardiaco e danni severi agli organi interni.

Cosa non si deve mai fare quando si lavora con la corrente elettrica?

2. Evitare l’utilizzo di cavi e prese in presenza d’acqua –

Per avere la certezza che l’ambiente lavorativo sia messo in sicurezza e i dipendenti possano operare in maniera serena, quando si lavora con prese e cavi elettrici non ci devono essere nelle vicinanze acqua o altri liquidi che rischiano di entrarci in contatto.Basta un attimo di distrazione per far poggiare un cavo scoperto anche su una semplice pozzanghera oppure su una superficie bagnata.Per questo motivo è bene ispezionare la zona, asciugare con estrema cura le superfici, non utilizzare acqua o comunque scollegare la rete elettrica qualora la fonte non possa essere rimossa, evitando quindi ogni genere di incidente.

Quando il forno elettrico fa fumo?

Non è insolito. È normale che il forno produca un po’ di fumo durante la cottura. Ecco i motivi più comuni per cui questo si verifica. Residui del processo di produzione Alcune parti del forno possono contenere residui oleosi o di protezione dai processi di produzione.

  • È perfettamente normale che il tuo forno emetta fumo durante il primo utilizzo, poiché questi materiali vengono bruciati.
  • Accumulo di grasso Quando cucini qualcosa nel forno, può succedere che grasso e unto gocciolino sull’elemento riscaldante.
  • Il grasso può anche evaporare dagli alimenti e aderire alla parte superiore o alle pareti del forno.

Alla successiva accensione della griglia o del forno, questo accumulo di grasso brucia, producendo fumo e un odore acre. Residuo di detergente Un altro motivo comune per cui il forno può produrre fumo è un residuo di detergente sulle superfici interne.

Auto-pulizia pirolitica Molti forni Beko sono dotati di auto-pulizia pirolitica, che porta la temperatura interna del forno fino a 500 °C e riduce in cenere tutti i residui di cibo e gli schizzi. Puoi quindi rimuovere la cenere dalla parte inferiore del forno. L’auto-pulizia pirolitica è efficace su tutte le superfici e le parti di un forno, inclusi i ripiani e lo sportello anteriore, e riduce la necessità di utilizzare detergenti.

Pannelli catalitici Inoltre, sulla parte posteriore e sulle pareti laterali di tutti i forni Beko sono disposti pannelli catalitici che assorbono il grasso ed eliminano la necessità di prodotti chimici e abrasivi per la pulizia all’interno del forno.